Il Seicento in Italia
 
 
 Fine Pagina
 
 
1.Storia ed economia

L'Italia perde la sua autonomia fin dal 1494 con l'entrata di Carlo VIII e con la Pace di Cateau-Cambrésis del 1559 che dà alla Spagna il governo e l’influenza sulla maggior parte dei suoi territori.

Pur tenendo conto della nuova situazione, degli effetti delle nuove rotte commerciali e della nascita di nazioni europee, alcuni storici considerano che il periodo del Seicento, parallelo alla situazione culturale del Barocco, non determina una decadenza italiana vera e propria1. A questo proposito Fernand Braudel, lo storico che maggiormente ha contribuito a creare questa nuova visione:

  • [...] l'Italia non è caduta -checché si dica- al piano zero della storia. Se continua a vivere -come osserva Benedetto Croce- è perché di fronte a un'agricoltura rimasta in buona salute, la rete urbana non è stata smantellata, anche se tende a restringersi: sussistono, ancora, dunque, un'accumulazione di capitale, una possibilità di ripresa, mentre si conservano alcune industrie, quanto meno quella della seta o i prodotti di Napoli, accanto a un commercio che non è soltanto "passivo", come si dirà nel secolo XVIII. Si discerne un certo equilibrio, che non può essere mediocre quanto di solito si pretende1.
  • Se strutturalmente il cambiamento si può vedere come un passaggio, che parte nel XVI secolo, dal sistema feudale a quello industriale-capitalistico moderno, passando attraverso il capitalismo mercantile e finanziario del Cinquecento e del Seicento e che raggiunge le sue caratteristiche precipue solo nel XVIII secolo, bisogna tenere conto però dei tempi lunghi necessari per questa trasformazione, considerando che le situazioni necessitano di una serie di fattori per raggiungere la loro pienezza2.

    La crisi di quel sistema, infatti, è lunga e attraversata da congiunture medie e brevi che non permettono di definire una data certa al cambiamento né una decadenza definitiva del gruppo di Stati "perdenti". Infatti accade che la crisi venga avvallata o ritardata da varie congiunture quali: la piccola glaciazione3 che sconvolge la meteorologia del Seicento determinando periodi di carestia, epidemie e varie difficoltà (sembra che proprio per questo in quegli anni vengano preferite le vie di terra), la <<guerra dei trent’anni>> che sconvolge i traffici mercantili Nord-Sud, la lotta della Controriforma che ha effetto sul comportamento politico dei vari stati e sul pensiero generale del periodo, lo sfruttamento delle colonie d'Oriente e d'Occidente che cambia il volto dell'economia europea, la ripresa demografica dopo la metà del secolo, la piccola ripresa economica dopo gli anni trenta, più tutta una serie di avvenimenti che sottolineano ora l’una ora l’altra tendenza.

    In campo economico si fa sentire sempre più la differenza tra stati in crescita, la cui strutturazione come stati nazionali pur partendo da una situazione difficile e povera consente una risposta innovativa e al passo con i tempi (Inghilterra, Olanda, Francia) e stati che ancora si reggono su vecchie strutture già collaudate e non dispongono della libertà e della forza per rinnovarsi, quali la Spagna, la Turchia e l'Italia che essendo stata al centro dell’economia di scambio del Trecento e Quattrocento, dispone di enormi ricchezze accumulate, e di mezzi già provati, utili per sfruttare il nuovo assetto determinato dai mercati delle colonie e dall'arrivo di metalli preziosi dalle Americhe4.

    Se da una parte vi è una tendenza a tesaurizzare gli enormi guadagni che il secolo precedente aveva permesso5, o investendo in opere costruttive o in metalli o in terre, dall'altra il surplus di ricchezza e le trasformazioni operate per fare fronte alle nuove esigenze del mercato6 permettono agli italiani di mettersi ancora in gioco: con istituti di prestito e cambio (fiorentini, veneziani e genovesi compaiono in tutte le piazze europee, il Banco di Rialto tiene fino al Settecento come piazza di scambi e alla fine del Seicento Venezia mantiene un traffico che perlomeno si eguaglia a quello dell'inizio del secolo7, mentre Genova se è vero che detiene il monopolio delle finanze spagnole fino al 1654, è provato che rimane un importante centro di scambio fino alla fine del XVIII secolo8) e sfruttando le strutture già navigate per cavalcare le situazioni. Infatti pur subendo in pieno lo spostamento dei traffici fuori dal Mediterraneo e la sottomissione alla Spagna, l'Italia acquista, con questo, un periodo di pace relativa e rimane uno dei terreni di gioco più importante, da dove passano le truppe spagnole dirette ai Paesi Bassi, dove si reclutano soldati per le varie guerre del Nord (guerra dei trent’anni) o contro i Turchi, dove si scontrano gli interessi francesi e spagnoli (guerre per il Monferrato, guerre per la Valtellina, scontri in campo piemontese, rivolta di Messina …) e dove, in definitiva, si incanala e passa ancora gran parte dell'oro spagnolo9. La Spagna poi pur dissanguando con dazi e tasse i territori sottomessi, determina sì uno sfruttamento, ma non una marginalizzazione ed un impoverimento immediato10. La situazione quindi si mantiene vitale. Secondo Braudel11 e altri storici12 Venezia e l’Italia non decadono propriamente fino al 1650/80. Il Braudel: <<Dicevo nel 1949 che il declino non mi sembrava visibile prima del 1620. Oggi preferirei dire, senz'essere affatto sicuro, non prima del 1650.>>, aggiungendo quasi subito: <<bisognerebbe scegliere una data tardiva: 1650 o persino 1680>>13.

    Nessuna delle inflessioni del periodo sembra poter essere attribuita a una "crisi generale del XVII secolo". Il paradosso, o l'eccezionalità dell'Italia sta nell'aver realizzato assai presto, e in anticipo sul resto dell'Europa occidentale, le principali trasformazioni per passare dal feudalesimo al capitalismo, traendone partito per delineare un modello di sviluppo precoce e originale. È questo modello che si esaurisce, per certi versi già nel XVI secolo e in generale nel secolo seguente, vittima delle sue stesse contraddizioni. Solo le manifatture registrano un calo assoluto, tutti gli altri settori, per Aymard, suggeriscono l'esistenza di involuzioni relative e perdite di mercato, di un restringimento degli orizzonti ma non del volume del commercio esterno, di progressi in qualche settore particolare, di brutali cadute seguite da recuperi, di ristrutturazioni avviate e riconversioni riuscite, tenendo conto del fatto che esiste una continuità di fondo, un mantenimento delle vie scelte nel secolo precedente, specie nel campo dell’agricoltura. La situazione non suggerisce affatto un regresso generalizzato dell'offerta e della domanda globali, calcolate in termini monetari o in quantità di beni e di servizi prodotti e scambiati.

    Ciò che è cambiato è che l’Italia non domina più la partita, anche se la ristrutturazione complessiva lascia alle città del Nord Italia un’enorme ricchezza14.

    Questa ricchezza accumulata e mantenuta viva con strumenti vari che garantiscono la buona salute della penisola (si vedano le varie conversioni attuate dagli Stati italiani, soprattutto nel campo della produzione manifatturiera e di quella agricola, che non era ancora minoritaria in Europa, assieme alla vendita delle Rendite e dei Privilegi in Toscana, Stato della Chiesa e Veneto15, che garantiscono un equilibrio di entrate, almeno fino a quando l'economia non si trasforma totalmente in industriale, ossia nel Settecento16), garantisce l'esploit culturale italiano che va sotto il nome di Barocco e che pur avvalendosi anche di apporti stranieri, acquisisce grandi innovazioni in campo scientifico, letterario, musicale e artistico, basi per lo sviluppo successivo in ogni campo, che trasferirà il suo centro conduttore in Francia solo nel secolo successivo.

    Basti pensare alle ville venete, ai palazzi romani e alla Renovatio della città simbolo della nuova fede controriformista, ai teatri che nascono ora come nuova istituzione pubblica, alle pubblicazioni in tutti i settori del sapere e alle varie Accademie letterarie, artistiche e scientifiche.

  • Troviamo dunque un'innegabile ricchezza in questa Italia dell'ultimo scorcio del Cinquecento, del primo Seicento. Nessuna sorpresa, dunque: il secolo dei genovesi, che è anche quello del primo Barocco, è il periodo del massimo irradiamento della civiltà italiana. Abbiamo come un secolo particolare, fatto di due metà: 1550-1600 e 1600-1650, che è il grande secolo italiano, se si prende come scala il vigore, quasi fisicamente misurabile, di quell'irradiamento17.
  • Sembra essere funzionale a questa ricchezza e varietà culturale persino la divisione in piccoli e medi stati assolutistici della penisola che assecondano ognuno una linea di ricerca e di produzione culturale18, determinando una varietà superiore a qualsiasi altro stato europeo, in questo periodo spesso impegnato nella risoluzione dei suoi problemi interni per la costituzione della nazione unitaria e la difesa dei confini.

    A Venezia e nel veneto la situazione non è diversa, anzi, essendo l'unico stato italiano veramente autonomo troviamo che la maggior parte delle istanze innovatrici hanno contatti con il suo mondo (Galileo, Sarpi, Cremonini, Velàzquez, Rubens…).

    Economicamente le strutture della Repubblica garantiscono un'alta qualità di scambi per tutto il Seicento. Pur sentendosi pesantemente le varie crisi congiunturali, quali le carestie, gli attacchi della peste e del tifo, la crisi dei prezzi degli anni venti e quella determinata dalla <<guerra dei trent’anni>>, le situazioni di pressione politica quali le guerre con i Turchi, le ingerenze spagnole e della Chiesa, e quelle dell'Impero Asburgico, vengono messi in atto vari mezzi di risposta: il passaggio dell'aristocrazia alla terra (ruralizzazione assecondata dallo Stato veneziano), l'apertura del Banco di Rialto, l'utilizzo delle navi straniere, l'elaborazione del prezzario, l'utilizzo di una economia di scambio regionale e di autosussistenza, lo sfruttamento dell'industria manifatturiera anche nelle zone dell'entroterra (Vicenza ad esempio è il centro di maggior produzione di panni-seta di media qualità19, i centri minori acquistano così un peso maggiore ed una distribuzione di ricchezza che ne garantisce la floridezza anche culturale, pensiamo a Treviso, Vicenza, Verona e Padova con la sua scuola aristotelica), rivalutate per le spese di manodopera e per la produzione di materie prime20. Fin dal 1550 Venezia aumenta gli interventi sulla terraferma (bonifiche, sfruttamenti mirati...) inoltre attua tutta una serie di scelte per aumentare il controllo da parte della Capitale sulle élites cittadine dei capoluoghi e sulla concorrenza interna dell'entroterra nella produzione, utilizzando, ad esempio, la creazione di distretti, provveditori, inquisitori21.

    Nei patrimoni delle maggiori famiglie la terra acquista un peso sempre maggiore e rappresenta una garanzia per la ricchezza, e inoltre anche uno dei requisiti per l’ascesa sociale. In veneto gli acquisti di terra da parte dei nobili raggiungono nel Seicento la metà delle terre disponibili22.

    La ricchezza è, dunque, ancora presente (tanto che sembra di vivere in un'isola felice, pur sentendo la sensazione di essere sulla difensiva23), e garantisce una situazione oziosa nella città, dove la cultura può godere degli investimenti necessari al suo mantenimento in grande stile. Pensiamo ai palazzi delle famiglie aristocratiche su Rialto, alle varie ville costruite ai tempi del Palladio e successivamente (ben 332), che pur seguendo la tendenza alla ruralizzazione della nobiltà si caratterizzano poi come raffinatissime ville di ozi più che strumenti di controllo del lavoro sui fondi24.

    Qui molti testi importanti e spesso espressivi di forme libere di pensiero vengono stampati durante tutto il Seicento, e Venezia è poi anche il primo polo di sviluppo della nuova produzione teatrale e del Melodramma/Opera, qui viene costruito il primo teatro aperto al pubblico (seguito da altri tre) ed è qui che ancora nel Settecento verranno costruiti vari teatri, dove il mito di Don Giovanni e le "prodezze" di Casanova troveranno casa, dove Goldoni nelle sue opere ci trasmetterà ancora questa sensazione dell’"isola felice"25, e dove Piazzetta, Canaletto e Tiepolo manterranno alto il livello artistico.).

    Ancora Braudel scrive:

  • La gloria dell'Opera veneziana non si sviluppa in una città povera, esangue, malinconica. È il trionfo di un gusto costoso in una città lussuosa, dove la vita è cara e i salari sono relativamente alti; Venezia è allora punto d'incontro di viaggiatori affascinati dai suoi splendori, che possiede i mezzi per far vivere i suoi teatri con la ricca clientela dei palchi e quella modesta e numerosa che affolla la platea.26
  • e W.H.Mc Neill ci dice che alla fine del Seicento a Venezia
  • […] delle sue antiche funzioni pan-europee solo una rimaneva, poiché anche nei giorni della decadenza politica e militare Venezia rimane un terreno favorito di gioco per i ricchi, avanguardia del turismo e luogo in cui la corruzione ed i più licenziosi modi di comportamento dell'aristocrazia avevano campo più libero ed esercizio più continuo che in qualunque altra parte d'Europa. Il ruolo della città come capitale del piacere e attrazione per i forestieri fu un riflesso della sua precedente funzione di centro e di guida culturale.27
  • La crisi d’altra parte implica sempre un consumo, se non una dilapidazione, della ricchezza accumulata e delle strutture approntate, ciò che viene definito "civiltà" spesso è segno di deterioramento, oltre che di pienezza e compimento.28

    Bisogna capire ora se questa vita ricca che sembra proprio esprimere il disagio e la decadenza di sottofondo, ossia questa vita di dissipazione delle ricchezze accumulate all'interno di un'isola di libertà circondata dai suoi detrattori e continuamente impegnata a difendere la sua situazione contro attacchi anche molto pesanti (in definitiva Venezia era l'unico stato italiano che non si appoggiava totalmente su uno stato nazionale europeo, che aveva garantito un movimento economico di livello europeo e che si confrontava alla pari con gli imperi europei e dell'est), possa aver determinato una linea culturale di evasione29.

    Pensando alla stretta morale e culturale determinata dalla controriforma, con i gesuiti e l'Inquisizione (riammessi a Venezia nel 1657), e a quella politica, economica e sociale determinata dalla nuova situazione europea e dal controllo spagnolo su gran parte dell'Italia, notiamo che dopo i grandi pensatori dell'inizio secolo (Campanella, Galielo, Sarpi) che avevano anche reagito direttamente alla situazione, la vitalità culturale, tralasciando le produzioni gesuitiche e dalla parte cattolica, sembra tendere alla creazione di mondi altri, spesso mitologici, in cui sia il simbolismo, sia l'inserimento di oggetti ed elementi realistici distaccano l'attenzione dai grandi temi metodologici e strutturali30.

    Pensiamo alle Accademie, così sviluppate nel Seicento, che proponevano un livello di cultura slegato dalla realtà e che si evidenziava per la pochissima influenza, di ogni singola accademia, sulla società e il dibattito culturale (a parte alcune eccezioni come quella della Crusca e del Cimento)31; oppure consideriamo la tendenza della ricerca scientifica dopo Galilei alla sperimentazione pura, senza implicazioni teoretiche32; persino un intero campo culturale innovativo come il teatro ed il melodramma sembra portare dentro di sè la spinta verso la scenografia, e lo sviluppo di temi mitologici o pastorali avulsi dalla realtà contemporanea o con pochi velati riferimenti, vediamo la lirica, la produzione letteraria di prosa con lo sviluppo del romanzo, la creazione di grandi temi mitologici o di serie di capricci e invenzioni nell'arte figurativa, tutto questo sembra costruire un mondo più alto del livello reale, raffinato ma sganciato, in cui fonemi del linguaggio più utilizzato sono le raffigurazioni mitologiche classiche e la dissimulazione o l'astrazione sono la tendenza prevalente (Torquato Accetto, Sarpi, Marino …).

    Non scordiamo che il medium a cui una società fa riferimento per trasmettere i suoi diversi contenuti passa lui stesso il suo messaggio.

    Anche i grandi avevano strutturato le loro proposte attraverso figurazioni simboliche e mitiche (La città del Sole...) e pur esistendo comunque una tendenza individuale di ribellione che poteva esprimersi con simbologie dissimulate, rimane che l'effetto generale porta ad una fuga dalla condizione reale che si vive... emblematico che la nobiltà veneziana smetta di essere imprenditoriale e i commercianti del porto divengano per la prima volta una classe borghese diversa dall'aristocrazia, che invece tende a questo "invillamento", a ritirarsi in ville magnifiche, simboli di una passata classicità e quindi di un glorioso passato mitico.

    A questo proposito Braudel:

  • Perché non prestare attenzione, questa volta, al concatenarsi di annate difficili [...]? Si fa allora generale, o almeno tende a farsi generale un'inquietudine polivalente, un desiderio brutale di vivere, un'ansia di sfuggire, di trovare un rifugio, evadendo nel sogno, nel gioco verbale, nella musica, nelle illusioni del teatro, nella magia della scena, inventata dagli italiani [...]33.
  • Tutto questo fa capo specificatamente alla linea classicista che si situa, non dobbiamo scordarlo, in parallelo a quella realista e a quella delle nuove generazioni dopo gli anni trenta, che sviluppano in tutti i campi la corrente detta "barocca" e "moderna", caratterizzata da una rinnovata fiducia nelle capacità umane e da un desiderio crescente di esprimere, conoscere e trasmettere la nuova dimensione di infinito e di varietà della natura e della realtà34.

    2.La Cultura

    Nel Seicento a livello culturale se sul piano scientifico c'è un distacco tra magia e scienza superando la dimensione platonica umanistica della ricerca naturale arrivando con il campione Galileo alla autonomia della ricerca scientifica dalla filosofia e dalla morale (e questo non fu scevro di effetti politici), sul piano letterario e figurativo si sente sempre più la distanza tra il nuovo mondo estremamente più vasto e dispersivo e la struttura della cultura classica (da qui il senso profondo della "querelle tra antichi e moderni"35).

    Le guerre, l'instabilità politica e morale/religiosa, la scoperta di nuovi immensi territori, l'innovazione industriale, la ricerca scientifica e la nuova dimensione cosmica, i nuovi mondi visibili con il telescopio e il microscopio, la caduta del razionalismo costruttivo Rinascimentale ed ancora Manierista determinano un senso di Incertezza e Meraviglia. Da una parte si cerca di adeguare gli strumenti espressivi con una sperimentazione attiva che porta al romanzo alle nuove forme musicali e teatrali e alle forme barocche36, dall'altra si tenta di esprimere questa meraviglia oppure di afferrare ciò che si sente sfuggire e deperire ed ecco il carnalismo e il sensualismo (in senso erotico e di percezione sensoriale) paralleli alle visioni di morte e "memento mori", e anche il realismo (non certo assimilabile a quello ottocentesco, mancandogli completamente una coscienza reale e sociale, pur essendoci sprazzi del genere in Salvator Rosa pittore e scrittore, nel Bamboccio, in Michelangelo B. il Giovane e in Basile) che però si esprime come micro-realismo di particolari, forse per l'incapacità di confrontarsi con i grandi temi della realtà, e la preferenza ad agganciarsi a singoli oggetti di uso comune, infine le favole pastorali e mitologiche: un mondo astorico che proprio per questo garantisce la sua immortalità e non decadenza37.

    Paul Renucci:

  • C'è da domandarsi se il silenzio imposto sui grandi problemi, filosofici o d'altro genere, al di fuori delle opinioni prescritte dall'autorità ecclesiastica [o dalla volontà dei sovrani], non abbia contribuito a estrovertere la fantasia poetica verso il concreto, suscitando un'attenzione meramente visiva che evita di collegare le cose fra loro e di esplorarne liberamente i segreti o le implicazioni.[...] Si tratta di realismo, a volte "miniaturista", a volte "espressionista", a volte "magico"?[...] Fra i soggetti, alcuni sono in ogni senso minuscoli (zanzara, pulce, formica, baco da seta, mosca caduta nel calamaio) o familiari al limite della trivialità (pipa, tabacchiera, pettine rotto, dente caduto, capelli posticci, feto in un vaso di vetro), accanto a visioni sfarzose [...]38.
  • La fantasia come risposta alla decadenza e alla restaurazione (la rifeudalizzazione, l’inquisizione, l’immobilismo politico, la vendita di privilegi e la tendenza alla vacuità delle cariche)39. La linea classicista ritenta, senza cadere nella servile imitazione manierista, la grande operazione dell'arte ideale. Essa fa capo specialmente ai centri culturali del Nord, ma mantiene la prevalenza in alcuni campi: nella produzione teatrale, ad esempio, che pur con l'introduzione dei nuovi generi e la maturazione del melodramma, nella materia tematica risulta essere una complicazione sopra forme classiche e temi mitologici classici40 inserendosi così pienamente nel recupero di quei mondi mitici prima descritti.

    Si tende a mascherare (Sarpi parlava dell'uso della maschera) e a mediare (l’Accetto nella sua "La dissimulazione onesta" del 1641 parla di "viver cauto…" e Galielo accetta di abiurare nel 1633) oltre che a compensare con l'immaginazione: teatro metaforico e mondi immaginari, liriche e Utopie filosofiche (Adone come metafora epicurea e sensista, La Città del sole, Utopia, La Nuova Atlantide)41. Esiste però una tendenza individuale a reagire al conformismo della controriforma e vi sono anche ribellioni individuali, anche se più nel segno di una affermazione personale: Campanella, G.Bruno, Caravaggio, S.Rosa, Sarpi, Chiabrera, Marino, Testi, E.Davila, B.Dotti, A.Stradella, C.dè Dottori...42

    Infatti la reazione controriformista si scontra con: il protestantesimo, l'epicureismo (edonismo e sensismo, Gassendi), il galileismo (scientismo razionalistico, Copernico, Galielo, Cartesio, Newton...) e il libertinismo (sensimo ed erotismo, Accademia degli Incogniti); mentre gran parte della trattatista politica e critica si fonda su temi moralistici, sembra che la reazione sia un esplodere di temi pagani, come la trattazione di amori morbosi e immorali (incesti, sado-maso, ninfomani, omosessualità, …), l’affermazione di soggetti sensuali come: "Ninfe al bagno", "Baccanali", "Diana e Atteone", "Susanna e i Vecchioni", mentre più del novanta per cento delle liriche sono di carattere edonistico43.

    D’altra parte la Chiesa stessa, dopo il periodo prettamente controriformista tra fine Cinquecento e inizi Seicento, finisce col venire a patti con la "peccaminosità" umana, e a consentire un rapporto anche materiale con la vita: gli stessi gesuiti saranno d’accordo nell’utilizzo di forme piacevoli per trasmettere contenuti di fede, e nelle stesse dottrine si inserisce il pensiero che anche questa vita vada vissuta in maniera "piacevole", ossia assecondando i sensi, anche se all’interno delle regole morali (ad esempio si accettano di nuovo il ritratto, e il poema che esaltano le virtù del principe o del nobile, il collezionismo di opere "belle", ambienti e situazioni non del tutto lecite come a Venezia, rapporti con artisti protestanti, etc.)44.

  • Non è da stupire, dunque, se un paese, che ha lungamente accumulato contraddizioni e feconde singolarità, entrando in fase di recessione accentuata e caratterizzata da rigida inerzia, vede formarsi quasi un'ideologia dell'impotenza, provocata dal timore di perdere tutto, quando si affronti il minimo rischio. Non è mai accaduto che il potere costituito [...] sia stato meno rifiutato o almeno contestato che allora. Mentre i trattati sulla "ragion di Stato" proliferano, La città del Sole di Campanella, ribelle autentico, se mai ce ne furono, rimane a livello dell'utopia [...]. Quando l'adesione all'assolutismo non è totale, né la rassegnazione completa, il rimedio è in generale quello della "dissimulazione onesta", come consiglia il napoletano Torquato Accetto, imbevuto di filosofia epicurea, in un trattato che reca tale titolo del 1641: Il viver cauto ben s'accompagna con la purità dell'animo. Meno remota di quanto si potrebbe sulle prime pensare da questa "dissimulazione", almeno per quanto riguarda l'impotenza politica, è la surcompensazione richiesta al culto dell'onore personale, lo sfogo attraverso la violenza. […] Parallelamente sembra agire il moralismo rafforzato dall'insegnamento ecclesiastico: le sue energiche riprovazioni dei piaceri carnali paiono provocare un'attrattiva lancinante per le complicazioni e le perversioni sessuali.45
  • I gesuiti, intanto, agiscono in ogni campo proponendo la loro versione, sia mediando con lo scientismo, sia utilizzando il pietismo, il teatro, la trattazione filosofica, la lirica, la teologia, l'arte figurativa, tenendo conto del fatto che verso la metà del secolo il loro moralismo si "riforma", e vengono accettati i contenuti sensuali ed edonistici come strumento di persuasione e di coinvolgimento.

    La letteratura del periodo risente dell'adattamento alla nuova situazione sociale, lo sperimentalismo è lo strumento principale della ricerca di una forma espressiva adatta, inoltre la struttura centrifuga della nuova cultura che possiamo definire ormai pienamente moderna, non permette forme fisse, ma piuttosto uno scontro continuo di esperienze e scelte diverse. In questo periodo in tutti campi troviamo innovazioni e produzioni contrastanti: la linea marinista e la contraria, quella sensista e la risposta controriformista e moralista, l'esaltazione dei classici e la risposta modernista, il galileismo e la tradizione aristotelica...

    Possiamo dire con Braudel, che sembra un fatto storico che nel momento in cui uno stato dopo un periodo di grandezza politica ed economica decade, <<la caduta provoca una molteplicità di splendori. […] In questo senso, la notte, una certa notte è caduta due volte almeno sull’Italia: intorno al 1450 e intorno al 1600. Tutto il cielo d’Europa ne fu illuminato>>46.
     

    3.Il Seicento artistico: il Barocco

    Il Barocco o "i Barocchi": come dice H.Hauser (ricordandoci Chastel e tutta una linea culturale che negli anni sessanta portò nuova coscienza nella critica dei vari centri culturali diversi) non esiste un solo Barocco, anzi le stesse espressioni che caratterizzano il periodo definito tale possono essere viste come contrapposte alle qualità che di solito si attribuiscono a questa espressione artistica47.

    Nicola Spinosa afferma:

  • pure a fronte di una rinnovata e comune concezione del divino, della natura e dell'esistente, si ebbero tuttavia reazioni dissimili tanto nella coscienza della propria condizione esistenziale quanto nelle diverse applicazioni delle proprie convinzioni ideali o figurative, maturate peraltro anche da un rapporto profondamente differenziato con l'eredità del mondo rinascimentale48.
  • Esiste quindi un Barocco delle corti e della Chiesa cattolica, completamente diverso da quello delle città borghesi e protestanti. Esistono più livelli di espressione barocca, dal naturalismo, al classicismo, alla tendenza coinvolgente e moderna che solitamente, da sola, viene definita "barocco".

    In questa epoca la fruizione artistica è cambiata, i gruppi culturali e sociali sono tanti e variegati49. Gioca in questa varietà la crisi dei valori, determinata da tutta una serie di novità che caratterizzano il secolo: la scoperta di nuovi mondi avvenuta nel secolo precedente, le scoperte scientifiche, da Copernico a Keplero e Galielo che man mano pongono la terra e l'uomo sempre più all’interno di un enorme, infinito universo, sia macro che micro (ricordiamo l’utilizzo del microscopio da parte di Galileo), la conflittualità religiosa nata dalla Riforma e dalle risposte della Chiesa cattolica, le trasformazioni dei rapporti tra individui e Stati assolutistici, sempre più posti in dimensioni nazionali. Tutto questo non permette più alle convinzioni fisse, strutturate nei secoli in sistemi (da quelli medioevali a quelli di recupero classico umanistici), di poter rispondere adeguatamente alle nuove esigenze dell'animo e dell'intelletto umano50.

    L'humus culturale era lo stesso per ognuno, e anche i problemi, ma il portare la percezione al livello immediato dei sensi, senza più condizionamenti a priori di concetti intellettuali precostituiti, il caratterizzare il nuovo rapporto tra individuo e Stato, individuo e natura e individuo e religione, come dialogo e acquisizione di strumenti per rapportarsi con la realtà cangiante del secolo, tutto questo porta ad una estrema differenziazione delle singole risposte.

  • Questo ristabilito legame con la realtà naturale, sentita oggettivamente come specchio dell'infinita varietà, vastità e complessità dell'universo [oltre che espressione di un nuovo sentimento del divino] [...] comportava di necessità che la "riscoperta" del mondo sensibile, naturale (non più regolata [...] da leggi comuni, razionali ed universali, ma fissata dal mutevole contatto che di volta in volta veniva a stabilirsi con la realtà pur essa profondamente diversificata, delle singole coscienze [...]) si manifestasse in termini sempre sicuramente differenziati, dando luogo a reazioni non omogenee e spesso addirittura contrastanti. La "perdita del centro", il sentirsi parte di un infinito, variato e mutevole flusso vitale, nel quale l'uomo "nuovo" intuiva e individuava la presenza di realtà diverse e diversificate, lo ponevano [...] in una insospettata condizione di individuo libero dai limiti posti alla sua coscienza e alla sua sensibilità dalle convinzioni e certezze assolute [...]. Ma ne facevano al temp stesso anche il solo arbitro e l'unico responsabile dei differenti e spesso contrastanti modi di stabilire legami diretti e immediati con i variati e mutevoli aspetti della realtà circostante51.
  • La facoltà di immaginare per l’uomo "moderno" era quasi una necessità, poter pensare a mondi altri (Bacone), alla possibilità di altre situazioni, era l’unico modo per adattarsi alla nuova concezione "allargata" dell’universo, e assieme a questo l’artista sentiva di avere il compito di persuadere, ossia indurre il pubblico a sentire, partecipare ai mondi illusivi o verosimili che egli gli proponeva, educando con ciò ad immaginare.

    Non era tanto una tecnica al servizio di un contenuto morale (controriformista), ma una qualità dell’arte, che non era più uno strumento di ricerca oggettiva e personale dell’artista, ma una "convenzione", un rapporto tra il pubblico e il professionista, che rifletteva nell’opera la devozione dei guardanti.

    Quindi l’arte creava uno scenario alla vita reale degli uomini di ogni classe, che si riconoscevano in quella scena e accettavano di farsi coinvolgere e persuadere52.

    Per operare questo occorreva utilizzare tecniche adattabili, fare dell’arte una Retorica (in grado di trasmettere contenuti diversi con una buona tecnica oratoria, da cui il successo che ebbe il De Oratore di Cicerone, e la Poetica e la Rettorica di Aristotele), celare l’artificio, trasformare la ricerca culturale artistica in ricerca propriamente stilistica53.

    Da qui nasce spontanea la specializzazione degli artisti, la scelta più libera del proprio modo di costruire la "scena" barocca, il convivere su piani alti delle linee principali e l’ampliarsi di tutto un sottofondo di opere di genere54.

    Il collezionismo degli amatori borghesi, degli antiquari, degli stranieri o dei cardinali e dei re, garantiva la sopravvivenza di tutte le espressioni artistiche, mentre a livello si committenza alta si alternano le scelte e le preferenze, soprattutto tra linea classicista e linea "barocca"55.

    Inoltre al mondo cattolico-controriformista e alla grande committenza romana si oppongono varie linee di dissenso, a cui partecipano molteplici istanze.

    Se il razionalismo unito allo scientismo fanno parte di una di queste per le caratteristiche della ricerca empirica, per il naturalismo di fondo e per l’autonomia dalle impostazioni teologiche che esso sottende, partecipando così alla tendenza naturalista (caravaggisti, bamboccianti e generi "realisti"), dall’altra parte gli scenari pittoreschi, protoromantici, del Rosa e del Castiglione, la branca del magico che all’inizio trovavamo unita alla ricerca scientifica, e le istanze libertine, epicuree e stoiche unite al recupero del classico nella direzione arcadica compongono una varietà di linee che sfuggono ai dogmatismi dei trattatisti, delle Accademie (in primis quella di San Luca), alle scelte dei committenti della "maniera grande" e delle corti, e vanno ad arricchire le scuole locali, gli ambienti liberali e oziosi (Venezia), e le collezioni particolari dei cultori dei generi56.

    Non dobbiamo dimenticare che i generi stessi nascono con una tradizione culturale alle spalle che alle volte nasce fin nel XV secolo e che, almeno all’inizio, tutti tendono a valorizzarsi attraverso riferimenti letterari, immettendo contenuti simbolici, ermetici, e metafore nelle scene che poi diverranno di genere puro tra la fine del secolo e gli inizi del Settecento.

    Le tre tendenze principali del Seicento artistico si possono schematizzare in: naturalista, classicista e "barocca". Esse hanno legami stretti, si fondano su medesimi problemi di base e nascono da due scelte fondamentali: la visione dell’arte pittorica come ut pictura poesis, con tutte le implicazioni di valutazione dell’operare artistico in termini di arte liberale e la caratterizzazione dell’artista come professionista e ideatore, ben distinto dal mestierante, e il nuovo rapporto con la natura57.

    Il recupero e l’utilizzo del passato, sia in termini figurativi e stilistici, sia letterari e contenutistici, è comune a tutte le tendenze del periodo, così come l’interesse per gli elementi realistici e la costruzione di strumenti adatti a "persuadere" il pubblico.

    Infatti, la possibilità di scegliere strumenti diversi al servizio della qualità sociale dell’artista porta all'utilizzo di elementi realistici (quasi argomenti dimostrativi di un discorso retorico) e al recupero differenziato della storia, ossia degli elementi classici, in maniera non del tutto differente dal recupero manierista o rinascimentale, ma utilizzato diversamente: da una parte lungi dall'essere tanti elementi singoli orchestrati da una struttura concettuale e prospettica unificante, sono particolari che vengono assorbiti dalla sintesi barocca58, dall'altra questo recupero è vissuto come <<sviluppo ed estensione, reinvenzione della cultura classica.>>59.

    D'altra parte se è vero che la spazialità aperta e illusiva di infinito era già una delle espressioni dell'arte cinquecentesca (Correggio, P.da Cortona e Lanfranco), se la capacità di esprimere visivamente il sentimento della vitalità e varietà e molteplicità del reale affonda le sue radici nel Baccanale di Tiziano e nel Festino degli dei di Bellini, è pur vero che tutte le correnti del Seicento suggono elementi formali e sensibilità dal ricco mondo cinquecentesco, Rubens, che è considerato il primo rappresentante barocco, si inserisce in quel movimento neoveneto che nato a Roma agli inizi del secolo esporterà le sue scelte nel resto d'Italia e direi d'Europa (vedi i collezionisti inglesi a Venezia verso la metà del secolo) dagli anni trenta ai cinquanta del secolo.

  • Alla nuova situazione determinatasi nelle coscienze dopo la crisi dei valori su cui s'era fondata la civiltà del primo Cinquecento [...]
  • la risposta sembra essere:
  • affrontare con nuova, moderna sensibilità i problemi emergenti della realtà dei tempi mutati. Un atteggiamento che se appare caratteristico di tutto il movimento barocco [...], inizialmente, in ogni caso muoveva da premesse non diverse da quelle che avevano sollecitato le pur distinte e talvolta contrapposte esperienze dei Carracci, del Caravaggio e degli stessi artisti che [...] diedero vita al non meno fecondo e luminoso indirizzo del classicismo "moderno"60.
  • Delle tre linee principali la prima che si presenta con caratteristiche definite è quella naturalista.

    La scelta del suo iniziatore, il Caravaggio, sta nell’utilizzare <<solo il vero come maestro>>, solo la natura. Però lungi dall’essere mera riproduzione fotografica o oggettiva:

  • il procedimento rappresentativo di Caravaggio [...] va letto nel contesto di una specifica visione cosmica. [...] La filosofia naturalistica ha origini remote, [...] mira all'elisione di ogni nesso spirituale, anzi, leggendo anche lo spirito come prodotto naturale, si traduce in etica panteistica. L'azione umana è, in sostanza, legittimata dallo stesso mondo fisico.
  • Su una direttiva affine muovono, in particolare, gli "epicurei" e gli "stoici", i quali perseguono una "metafisica" di carattere panteistico e religioso.61

    Infatti troviamo in più luoghi l'influenza dell'epicureismo e dello stoicismo nella cultura del Seicento, si pensi agli insegnamenti di Bernardino Telesio, Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Girolamo Fracastoro e Francesco Patrizi. Inoltre Renucci considererebbe all'interno di quest'ottica anche l'Adone del Marino. Quindi almeno agli inizi del secolo queste tendenze hanno un peso non secondario, e sembra che proprio all'interno di questo ambiente culturale si formi la proposta estremamente innovativa di Caravaggio. È provato poi il suo legame con Cinzio Aldobrandini appartenente ad una cerchia neoplatonica. Su questi inizi agisce poi, anche la radice rigoristica legata al rinnovato moralismo dell'Accademia del Disegno (ex S.Luca) patrocinata dal Paleotti.

    Se la linea naturalistica di Caravaggio possiamo vederla nell'arte come mimesis, non va perso il livello trascendente e religioso che la compone: la luce caravaggesca è si veicolo sensorio, ma anche trascendente e divino, e mentre scopre la natura ne rivela l'essenza positiva ed etica contro il negativo dell'ombra.62

    Non scordiamo poi, l’importanza del carattere razionalistico ed empirico del naturalismo, in cui alla metafora usata dai classicisti, si preferisce l’emblema, facilmente percepibile e che non deforma la realtà dell’oggetto rappresentato63.

    Ma da Caravaggio ai suoi continuatori sembra si ripeta la storia di Galielo: l'etica naturalistica si trasforma nel suo contrario, in un gergo naturalistico senza implicazioni trascendenti.

    Del resto dallo stesso fondo comune partono tutte le pitture di genere che trattano temi realistici: natura morta, vita reale, bambocciate…

    Negli anni trenta diviene prevalente, come committenza alta a Roma, il nuovo dipingere "barocco". Qui sembra esprimersi al meglio il discorso legato alla persuasione e all’immaginazione. L'opera barocca ci coinvolge, ci trasporta e ci fa partecipi di una dimensione spaziale che va al di là di limiti reali e fisici, anzi utilizza proprio i suoi elementi costitutivi mettendoli a confronto ed in contrasto organico (pieni-vuoti, finito-infinito, ombra-luce) e trasmettendo con ciò la dimensione di una "concreta e infinita continuità spaziale".

  • Il tema dell'infinito o, meglio, il problema della illusiva rappresentazione dello spazio come infinita continuità spaziale in cui si concretizzava e si manifestava il continuo divenire della natura, delle sensazioni, delle emozioni, e quindi dell'esistenza e della storia dell'uomo, costituì, con quello della relatività delle percezioni, della popolarità e della forza comunicativa dell'arte, del ruolo della tecnica come fattore di autonomia e della natura interpretata come vicenda dinamica, uno degli elementi fondamentali della poetica e della civiltà figurativa del barocco.64
  • Tra gli elementi che caratterizzano gli autori del Seicento troviamo: la valorizzazione dell'immaginazione, come strumento d'elezione per estendere la propria esperienza al possibile, per guadagnare la possibilità di credere nella realizzazione attraverso l'agire umano di altre realtà possibili, mettere in relazione la cosa in sé con altre cose e con il tutto; la visione della natura come espressione del divino, e quindi un nuovo rapporto con la divinità, caratterizzato da un nuovo rapporto con la natura stessa; un contatto reale, attraverso i sensi e le emozioni, che determina una conoscenza individuale del flusso della vita ed un rapporto più stretto con Dio, mutuato dal sentire e dal vivere la nostra vita reale (verso gli anni trenta del secolo, la Chiesa arriva a "comprendere" la "peccaminosità" umana e attraverso la via dell'immaginazione <<alla coscienza che si potesse giungere alla salvezza anche vivendo la vita del mondo, accettando la sensazione fisica e l'immagine reale che ne era strumento, come sufficienti all'intelligenza o percezione dell'infinito disegno divino>>65).

    I sensi possono sollecitare il sentimento di fede, ed ecco l'arte come strumento di propaganda, all'interno di una <<politica del consenso>>, anche se non si può vedere tutta la "macchina" barocca al servizio di contenuti morali, va ricordato il rapporto libero, creativo dell’artista con il pubblico, dal quale trae egli stesso i contenuti per la sua composizione "retorica", per la dimostrazione in sé stessa, che, facilmente, è il suo vero ed unico fine66.

    Certo è che l’arte barocca, a tutti i livelli, partecipa della rinnovata sensibilità:

  • […] alcuni, anzi, vorrebbero identificare addirittura l'intuizione barocca con la natura stessa della musica, a cui tendono in quest'epoca tutte le arti, ansiose di spiritualizzarsi al massimo, di ridursi a sentimento puro, senza peso di materia, e a una condizione fluidissima di moto [..].67
  • è come una:
  • […] liberazione del sentimento in forme di calda immediatezza umana, pure di schematismi classicheggianti, plasmate dal sentimento stesso in una mobilità docilissima ai moti dell'anima umana.68
  • La "corrente" che spesso contesta il primo posto tra le preferenze della committenza con il "barocco" è la linea classicista. Nata dalle scelte dei bolognesi Carracci, recupera le forme e l’equilibrio compositivo classico, ma con grande attualità e rispondendo anche alle esigenze naturalistiche del tempo.

    Più che il vero essi cercano il verosimile, un vero intellettuale che conciliasse naturalismo e ideale classico, in cui gli elementi reali fossero scelti per giungere ad un equilibrio formale che potesse trasmettere la bellezza ideale.

    Spesso la metafora e l’allegoria è il filtro contenutistico più usato, e le fonti formali sono chiaramente distinguibili grazie alle "citazioni" dirette.

    Questa linea si inserisce in una tradizione molto lunga, che partendo dal recupero umanistico e rinascimentale, arriva a quello neoclassico del Settecento, anche se vi è una diversità tra i modi di recupero delle forme classiche, in questo periodo, infatti, va inteso come classico romano e greco, e mediazione classica "moderna", ossia quella operata da: Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Correggio, Veronese, dei quali sono recuperate le ricerche formali e le dimensioni stilistiche.

    <<Se la storia è il percorso finora compiuto dall'umanità verso la salvezza, bisogna proseguirlo: fermarsi, tornare indietro è peccato. Ecco la differenza culturale del Rinascimento, il ritorno all'antico.>>69

    Quello che si chiamerà il "classicismo barocco" non sarà imitazione, ma sviluppo della cultura classica.

    I Carracci sono gli iniziatori, la meditazione sull'arte antica, sui modelli del passato, tipica di Annibale, sviluppò infatti una poetica classicista passata in eredità ai suoi seguaci. Ai primi del secolo e soprattutto nel secondo decennio, il movimento classicista vide la formulazione teorica da parte di monsignor G.B.Agucchi (a cui seguiranno poi i maggiori sostenitori di questa linea: Mancini e Bellori) che sosteneva il principio della necessità di una selezione ideale entro il dato naturale.70

  • L'importanza storica dei Carracci e' grandissima: da loro inizia tutta la moderna arte sacra. Essi trasformano il difficile, involuto simbolismo dei manieristi in quelle semplici e chiare allegorie da cui discende il moderno quadro di devozione, con i suoi simboli e le sue formule costanti [...]. Solo ora l'arte sacra si differenzia definitivamente da quella profana. [...] L'iconografia dell'arte cattolica si fissa e si schematizza [...]71.
  • Tanto è vero che, in quel periodo, riguardo anche ad esigenze moralistiche e di controllo, la discussione si fa viva nella definizione dei generi e nella codificazione delle norme che regolino la produzione artistica. In questo periodo, infatti, si utilizzano spesso cataloghi, repertori e le cosiddette imprese, ossia raccolte di immagini simboliche codificate e unite a motti (cfr.Ripa).

    Gli autori dei trattati più importanti del periodo possono essere così schematizzati:

    classicisti: Scamozzi, Agucchi (Maccati), Passeri, e Bellori;

    storici: Baglione, Baldinucci, Bottari-Ticozzi, Scannelli, Boschini, e Mancini;

    moralisti: Paleotti, Borromeo, Ottonelli con Berrettini, e S.Rosa nella sua terza Satira;

    modernisti: Orlandi, Lanzi, e A.Pozzo. 

    Se è vero che la scelta classicista poteva rispondere alle esigenze di rigore e chiarezza, senza dare adito a contenuti "dissenzienti" o controcorrente, del potere assolutistico e gerarchico, è anche vero che essa per sua natura si basava su contenuti laici, per cui: le corti europee ben si adattarono ai suoi modi, specialmente quella di Francia dopo la metà del secolo, ma la Chiesa ebbe invece vari cambi di direzione e la scelta definitiva che garantiva il successo di questa linea, avvenne attorno al 1660, periodo in cui con il principato del Maratta alla Accademia di san Luca e il trattato di Bellori, le sue scelte furono vincenti, anche se ormai le sue forme passarono al nuovo modo razionalistico e neoclassico che ne decretò il successo nel Settecento.

    Alessandro Mazzoli

     
     Inizio Pagina

    NOTE:
    ______________________________

    1 F.BRAUDEL Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Einaudi, Torino 1986 (2a edizione, Or. La Mediterranée et le Monde méditerranéen à l'époque de Philippe II, Paris 1982), Vol. I pp.94-689, Vol. II pp.691-958, 1331-1337; F.BRAUDEL "L'Italia fuori dall'Italia", in Storia d'Italia , Einaudi, Torino 1974, vol.2** ("Dalla caduta dell'Impero Romano al secolo XVIII, AA.VV., a cura di Ruggero Romano e Corrado Vivianti), pp.2171-2175, 2221, 2230, 2234-2248; M.AYMARD "La fragilità di una economia avanzata: l'Italia e le trasformazioni dell'economia", in Storia dell'economia italiana , Einaudi, Torino 1991, vol. II ("L'età moderna verso la crisi", AA.VV., a cura di Ruggero Romano), pp.8,77-125; P.MALANIMA "L'economia italiana nel Seicento" in Storia della Società italiana, Teti, Milano 1989, vol. 11 ("La Controriforma e il Seicento" AA.VV.), p.159.
    2 F.BRAUDEL "L'Italia fuori dall'Italia", in Storia d'Italia , Einaudi, Torino 1974, vol.2**, p.2230.
    3 M.AYMARD "La fragilità di una economia avanzata: l'Italia e le trasformazioni dell'economia", in Storia dell'economia italiana , Einaudi, Torino 1991, vol. II ("L'età moderna verso la crisi", AA.VV., a cura di Ruggero Romano), p.9.
    4 F.BRAUDEL Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Einaudi, Torino 1986 (2a ed., Or. La Mediterranée et le Monde méditerranéen à l'époque de Philippe II, Paris 1982), Vol.I pp.237-288.
    5 M.AYMARD Op.cit., pp.9-10,77,84-85; F.BRAUDEL "L'Italia fuori dall'Italia", in Storia d'Italia , Einaudi, Torino 1974, vol.2**, pp.2224-2227.
    6 M.Aymard Op.cit. 1991, p.12.
    7 M.AYMARD Op.cit., pp.50-84.
    8 M.KNAPTON "Venezia e il Mediterraneo dalla guerra di Cipro alla pace di Passarowitz" in Storia della Società italiana, Teti, Milano 1989, vol.11 ("La Controriforma e il Seicento" AA.VV.), p.409.
    9 M.Aymard Op.cit. 1991, pp.84-85.
    10 F.BRAUDEL Op.cit., 1986, Vol.I p.473-486,494-583; F.BRAUDEL Op.cit., 1974, pp.2160-2167; M.AYMARD Op.cit., p.84 ; R.ROMANO "La Storia economica", in Storia d'Italia , Einaudi, Torino 1974, vol.2** ("Dalla caduta dell'Impero Romano al secolo XVIII, AA.VV., a cura di Ruggero Romano e Corrado Vivianti), pp.1896-1897.
    11 M.Aymard Op.cit., p.15; G.FERRONI Profilo storico della letteratura italiana, Einaudi, Torino 1992,
    p.352.
    12 F.BRAUDEL Op.cit., 1986, Vol.II pp.1333-1334; F.BRAUDEL Op.cit., 1974, pp.2228-2230.
    13 M.KNAPTON Op.cit., pp.409,414-415; G.LUZZATTO estratto da "Storia economica dell'età moderna e contemporanea" (CEDAM, Padova 1955) in Storia e storiografia, a cura di A.Desideri, G.D'Anna, Firenze 1984 (1977), vol.1, pp.844-848; C.DONATI "Genova, Piemonte, Stato della chiesa e Toscana nel Seicento" in Storia della Società italiana, Teti, Milano 1989, vol.11 ("La Controriforma e il Seicento" AA.VV.), p.359-398; M.Aymard Op.cit., pp.14-15 e in p.8: in aiuto a Braudel gli storici: Ruggero Romano, Alberto Tenenti e Ugo Tucci.
    14 F.BRAUDEL Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Einaudi, Torino 1986 (2a , Or. La Mediterranée et le Monde méditerranéen à l'époque de Philippe II, Paris 1982), Vol.II pp.1333-34.
    15 M.AYMARD "La fragilità di una economia avanzata: l'Italia e le trasformazioni dell'economia", in Storia dell'economia italiana , Einaudi, Torino 1991, vol.II ("L'età moderna verso la crisi", AA.VV., a cura di Ruggero Romano), pp.15, 85-86,97.
    16 C.DONATI Op.cit., p.369-391.
    17 M:AYMARD Op.cit., pp.11,84,99,111,116-120; P.MALANIMA "L'economia italiana nel Seicento" in Storia della Società italiana, Teti, Milano 1989, vol.11 ("La Controriforma e il Seicento" AA.VV.), p.150-152; F.BRAUDEL Op.cit., 1974, pp.2230,2246-47.
    18 F.BRAUDEL "L'Italia fuori dall'Italia", in Storia d'Italia , Einaudi, Torino 1974, vol.2**, pp.2171.
    19 R.MAIOCCHI "La rivoluzione scientifica nel Seicento" in Storia della Società italiana, Teti, Milano 1989, vol.11 ("La Controriforma e il Seicento" AA.VV.), p.434.
    20 P.MALANIMA Op.cit.,p.165; M.KNAPTON Op.cit.,p.415,423.
    21 M.KNAPTON Op.cit.,p.412-416; M.AYMARD Op.cit.,pp.15,98-114,117-125.
    22 M.KNAPTON Op.cit.,p.416-424; M.AYMARD Op.cit.,pp.76,100.
    23 P.MALANIMA Op.cit.,p.181.
    24 Vedi nota n.30 pag.5.
    25 P.RENUCCI "La cultura", in Storia d'Italia , Einaudi, Torino 1974, vol.2** ("Dalla caduta dell'Impero Romano al secolo XVIII, AA.VV., a cura di Ruggero Romano e Corrado Vivianti), p.1363.
    26 P.RENUCCI Op.cit., p.1432; F.BRAUDEL Op.cit., 1974, p.2194; W.H.MC NEILL Venezia, il cardine d'Europa 1081-1797 (Or. Venice, the Hinge of Europe 1081-1797, London 1974), Il Veltro Editrice, Roma 1984, pp.293; A.DESIDERI Storia e storiografia, G.D'Anna, Firenze 1984 (1977), vol.1, pp.797-798.
    27 F.BRAUDEL Op.cit., 1974, p.2194.
    28 W.H.MC NEILL Op.cit., p.233.
    29 F.BRAUDEL Op.cit., 1986, vol. II p.1095; M.AYMARD Op.cit., p.8.
    30 F.BRAUDEL Op.cit., 1974, pp.2176-2179; L.SALERNO "Immobilismo politico e accademia" in Storia dell’arte italiana (a cura di Federico Zeri), Einaudi, Torino 1981, vol.6* (Cinquecento e Seicento), pp.490-491.
    31 P.RENUCCI Op.cit., pp.1417-1419; G.C.ARGAN Storia dell’arte italiana, Sansoni, Firenze 1989, vol.3 p.223.
    32 L.BESANA "Le accademie e l'organizzazione del sapere" in Storia della Società italiana, Teti, Milano 1989, vol.11 ("La Controriforma e il Seicento" AA.VV.), p.455-459,462.
    33 R.MAIOCCHI Op.cit., p.447-453.
    34 F.BRAUDEL Op.cit., 1974, p.2179.
    35 Vedi pagina 9.
    36 R.ALONGE "Letteratura e spettacolo nel Seicento" in Storia della Società italiana, Teti, Milano 1989, vol.11 ("La Controriforma e il Seicento" AA.VV.), p.464; P.RENUCCI Op.cit., p.1388-89.
    37 P.RENUCCI Op.cit., p.1361,1394-1399.
    38 R.ALONGE Op.cit., p.465.
    39 P.RENUCCI Op.cit., p.1414.
    40 R.DE GRADA "Le arti figurative" in Storia della Società italiana, Teti, Milano 1989, vol.11 ("La Controriforma e il Seicento" AA.VV.), p.498-500.
    41 G.FERRONI Op.cit., p.391-392,396-397,406; P.RENUCCI Op.cit., pp.1424-1428,1434.
    42 P.RENUCCI Op.cit., pp.1364-65,1381-87.
    43 P.RENUCCI Op.cit., pp.1392-94.
    44 P.RENUCCI Op.cit., pp.1365-68,1384-87,1388,1391-94,1416-17; W.H.MC NEILL Op.cit., p.294.
    45 W.H.MC NEILL Op.cit., p.294; N.SPINOSA "Spazio infinito e decorazione barocca" in Storia dell’arte italiana (a cura di Federico Zeri), Einaudi, Torino 1981, vol.6* (Cinquecento e Seicento), pp.292; L.SALERNO "Immobilismo politico e accademia" in Storia dell’arte italiana (a cura di Federico Zeri), Einaudi, Torino 1981, vol.6* (Cinquecento e Seicento), pp.450,455,464,478.
    46 P.RENUCCI Op.cit., pp.1364-65.
    47 F.BRAUDEL Op.cit., 1974, p.2248.
    48 H.HAUSER Storia sociale dell'arte, Einaudi, Torino 1983 (Or.Sozialgeschichte der Kunst und Literatur, München ?1955), vol.I, pp.457-459; N.SPINOSA "Spazio infinito e decorazione barocca" in Storia dell’arte italiana (a cura di Federico Zeri), Einaudi, Torino 1981, vol.6* (Cinquecento e Seicento), pp.277-280,284-286,288,296.
    49 N.SPINOSA Op.cit, p.285.
    50 H.HAUSER Op.cit, p.464.
    51 N.SPINOSA Op.cit., pp.280-283; G.C.ARGAN Op.cit., p.222; AA.VV Storia dell'arte italiana (diretta da Carlo Bertelli, Giuliano Brigati, Antonio Giuiano), Electa/Mondadori, Milano 1991, vol.3 p.268.
    52 N.SPINOSA Op.cit., pp.284-285.
    53 G.C.ARGAN Op.cit., pp.222-223,336-339.
    54 L.SALERNO "Immobilismo politico e accademia" in Storia dell’arte italiana (a cura di Federico Zeri), Einaudi, Torino 1981, vol.6* (Cinquecento e Seicento), pp.478-79,494,496-497.
    55 Ibidem, pp.466-479.
    56 Ibidem, pp.450,486-489.
    57 Ibidem, pp.479-491,503-506.
    58 L.SALERNO Op.cit., pp.449-456.
    59 H.HAUSER, Op.cit., pp.462-463.
    60 G.C.ARGAN Op.cit., p.222.
    61 N.SPINOSA Op.cit., pp.279.
    62 F.ZERI e M.MARINI Premessa a "Caravaggio e il naturalismo internazionale" in Storia dell’arte italiana (a cura di Federico Zeri), Einaudi, Torino 1981, vol.6* (Cinquecento e Seicento), p.347.
    63 F.ZERI e M.MARINI Op.cit., pp.347-351.
    64 L.SALERNO Op.cit., pp.452-453,456-460,507-508.
    65 N.SPINOSA Op.cit., p.277.
    66 Ibidem, p.292.
    67 G.C.ARGAN Immagine e persuasione. Saggi sul Barocco, Feltrinelli, Milano 1986, pp.19-24.
    68 M.MILA Breve storia della musica, Einaudi, Torino 1963, p.127.
    69 Ibidem, p.128.
    70 G.C.ARGAN Op.cit., p.222.
    71 AA.VV Storia dell'arte italiana (diretta da Carlo Bertelli, Giuliano Brigati, Antonio Giuiano), Electa/Mondadori, Milano 1991, vol.3 p.269.
    72 H.HAUSER Op.cit., pp.468-469.